Senza musica la vita sarebbe un errore. Friedrich Nietzsche
Il potere della musica è ben noto sin da tempi remoti ma è soprattutto a partire dagli anni ’90 con l’esplosione delle neuroscienze cognitive della musica che si è assistito a una forte crescita di studi per comprendere più a fondo gli effetti della musica sul cervello e sulla mente.
Le evidenze suggeriscono che imparare a suonare uno strumento potenzi non solo le funzioni cognitive coinvolte nella musica ma anche abilità non strettamente musicali (Moreno & Bidelman, 2014).
Un ampio numero di studi ha mostrato che apprendere la musica è associato a migliori capacità percettive uditive. I musicisti infatti sono più bravi a discriminare timbri, l’altezza delle note, analizzare la prosodia vocale, e a riconoscere melodie (Schellenberg & Moreno,2010; Wong et al.,2007; Schoen et al., 2004; Habibi et al.,2013).
E’ stato inoltre suggerito che imparare a suonare potenzi abilità cognitive in domini non musicali quali le funzioni esecutive che sono alla base di capacità di alto livello della mente umana tra cui comportarsi in modo adattivo e i processi creativi (Swaminathan & Schellenberg,2016; George & Coch,2011).
E’ noto inoltre che il cervello dei musicisti sia diverso da chi non suona con differenze a livello delle regioni uditive primarie e secondarie come anche delle aree sensorimotorie (Gaser & Schlaug, 2003, Herholz & Zatorre, 2012, Jaencke,2009, Luders et al.,2004, Schneider et al,2002) .
Ma queste differenze sono dovute a predisposizioni innate o all’esercizio?
Habibi et al. (2018) hanno pubblicato di recente un interessante studio longitudinale per comprendere gli effetti dell’apprendimento della musica sul cervello dei bambini e sullo sviluppo cognitivo e cercare di rispondere a questa domanda. Sono stati coinvolti circa 70 bambini dell’età di 6 e 7 anni.
Il gruppo dei bambini che facevano musica è stato confrontato con uno coinvolto in attività sportiva e un altro che non svolgeva nessuna attività dopo la scuola.
Due anni dopo è stato osservato che i bambini che avevano fatto musica avevano migliori capacità percettive uditive degli altri associati a specifici cambiamenti cerebrali.
In modo interessante è stato osservato che i bambini del gruppo “musica” mostravano un incremento di connettività a livello di tre segmenti del corpo calloso misurato tramite una tecnica detta diffusion tensor imaging (DTI).
Aumentata connettività nei bambini che avevano fatto musica a livello dei fasci di corpo calloso che collegano entrambi gli emisferi a livello del giro frontale superiore (lilla), del giro precentrale (verde) e del giro postcentrale (celeste)Fonte:Habibi et al., Annals of the New York Academy of Sciences (2018)
Riguardo a cambiamenti in regioni coinvolte anche in abilità non musicali, i bambini che avevano svolto musica, mostravano un aumento dell’attività neurale durante un compito di inibizione cognitiva in un network di regioni coinvolte nelle funzioni esecutive come il giro frontale inferiore bilaterale, l’area supplementare motoria, la corteccia cingolata anteriore, il giro precentrale e l’insula.
Secondo gli autori questi dati sono in linea con l’ipotesi che l’allenamento musicale induca cambiamenti cerebrali e comportamentali nei bambini supportando quindi l’idea del potere dell’educazione musicale nello sviluppo cognitivo del bambino.
Questi dati hanno forti implicazioni a sostegno dell’idea che la pedagogia della musica sia una materia di estrema importanza da valorizzare e implementare nel percorso di apprendimento di ogni bambino.
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